In pensione a 70 anni o saltano i conti dell’Inps

La soglia di uscita dal mondo del lavoro a 67 anni dal 2021 richiederebbe “141 miliardi di spesa in più da qui al 2035, quasi interamente destinati a tradursi in aumento del debito pensionistico implicito, dato che l’uscita prima del previsto non verrebbe compensata, se non in minima parte, da riduzioni dell’importo delle pensioni”.
È quanto ha affermato il presidente dell’Inps Tito Boeri al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: scongiurare la pensione a 70 anni è pressoché impossibile, se non a costo di diminuire l’assegno mensile.

PENSIONI PIÙ BASSE

Boeri ha definito azzardato bloccare l’aumento dell’età pensionabile “senza toccare i coefficienti di trasformazione” (i parametri di conversione tra salario e assegno pensionistico, ndr). Se proprio si vuole correggere il sistema, lascia capire senza troppi giri di parole Boeri, bisognerà considerare assegni per i quali la parte contributiva abbia un peso maggiore rispetto a quello attuale. Detto in altre parole: pensioni presenti e future più basse.
“Da vedere poi come i mercati accoglierebbero lo smantellamento della riforma del 1996, che abbiamo venduto in tutto il mondo come sostenibile perché basata su adeguamenti automatici alla longevità – prosegue il Presidente dell’Ente previdenziale – e il blocco sull’età senza toccare i coefficienti di trasformazione mette in squilibrio il sistema. Visto che il flusso attuale vede in uscita pensioni miste, con una quota prevalente di calcolo ancora retributivo, i coefficienti di trasformazione hanno un ruolo marginale nel determinare il livello delle pensioni”.
“In prospettiva – conclude Boeri – avremo invece un problema di pensioni troppo basse, soprattutto per le donne. Con lo stop sulla speranza di vita, tra l’altro, si bloccherebbe non solo il requisito di vecchiaia, ma anche quello che fa salire gli anni contributivi per l’anticipo. Penso che se accadesse si potrebbero avere circa 200 mila pensioni in più all’anno”.
Valutazioni, quelle di Boeri, che non sono affatto piaciute ai presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, secondo i quali le teorie di Boeri si fondano su “un presupposto inesistente: non abbiamo proposto la cancellazione del collegamento tra età di pensione ed aspettativa di vita ma solo la sua rimodulazione temporale per alleggerire l’allungamento dell’età lavorativa, di circa sei anni”.

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